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L’Afghanistan sta vivendo una delle peggiori crisi umanitarie del mondo

25 Dicembre 2021 10 min lettura

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L’Afghanistan sta vivendo una delle peggiori crisi umanitarie del mondo

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Storie strazianti. Arrivano dall'Afghanistan e raccontano di bambine e bambini che pagano il prezzo più alto in un paese ridotto allo stremo.

A quattro mesi dalla presa di Kabul dei talebani, l'Afghanistan sta vivendo una delle peggiori crisi umanitarie a livello mondiale.

Un paese distrutto dal punto di vista economico e sociale dove l'inflazione è alle stelle e i beni di prima necessità scarseggiano, i servizi minimi non sono garantiti, i dipendenti non vengono retribuiti per mesi e le casse dello Stato sono vuote.

Lo scorso ottobre l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura (FAO) aveva lanciato in un rapporto l'allarme su quello che sarebbe successo a partire da dicembre: con l'arrivo dell'inverno il 55 per cento della popolazione – circa 22,8 milioni di persone – si sarebbe trovato ad affrontare pesantissime carenze alimentari, con un incremento, rispetto all'anno precedente, del 35 per cento.

3,2 milioni di bambine e bambini al di sotto dei cinque anni stanno soffrendo di malnutrizione acuta. Con l'abbassamento delle temperature un milione rischia di perdere la vita.

Si tratta del numero più alto di persone con grave insicurezza alimentare mai registrato nei dieci anni in cui le Nazioni Unite hanno iniziato a monitorare la situazione in Afghanistan.

L'impatto determinato dalla combinazione di siccità, conflitti, sfollamenti, COVID-19 e crisi economica ha gravemente colpito la vita, i mezzi di sussistenza e l'accesso delle persone al cibo.

Di fondamentale importanza – se non vitale, per un paese che dipende in larga parte da finanziamenti e aiuti provenienti dall'estero – sono gli interventi umanitari per soddisfare i bisogni alimentari essenziali e prevenire una catastrofe umanitaria anche nelle aree urbane che per la prima volta, a causa della disoccupazione dilagante e della mancanza di liquidità, si trovano ad affrontare livelli di insicurezza alimentare simili a quelli delle comunità rurali dove l'impatto di una seconda siccità in quattro anni ha inciso sui mezzi di sussistenza di 7,3 milioni di persone che sopravvivono grazie all'agricoltura e all'allevamento.

«È urgente intervenire in modo efficiente ed efficace per accelerare e aumentare le nostre consegne in Afghanistan prima che l'inverno blocchi gran parte del paese, con milioni di persone – inclusi agricoltori, donne, bambini piccoli e anziani – che soffrono la fame nel gelo dell'inverno. È una questione di vita o di morte. Non possiamo aspettare e assistere ai disastri umanitari: è inaccettabile!» aveva detto due mesi fa Qu Dongyu, Direttore Generale della FAO.

«L'Afghanistan sta vivendo una delle peggiori crisi umanitarie del mondo, se non la peggiore, e la sicurezza alimentare è quasi crollata. Quest'inverno, milioni di afghani saranno costretti a scegliere tra migrazione e fame, a meno che non si intensifichino i nostri aiuti e l'economia non si rianimi. È iniziato il conto alla rovescia di una catastrofe e se non agiamo ora ci scoppierà un disastro totale tra le mani», aveva aggiunto David Beasley, Direttore Esecutivo del Programma alimentare mondiale (WFP).

«La fame aumenta e i bambini muoiono. Non possiamo nutrire le persone con le promesse: gli impegni finanziari devono trasformarsi in denaro contante e la comunità internazionale deve unirsi per affrontare questa crisi che sta rapidamente andando fuori controllo», aveva avvertito Beasley.

Il 22 dicembre il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato all'unanimità una risoluzione proposta dagli Stati Uniti affinché gli aiuti umanitari arrivino in Afghanistan senza che passino per i talebani.

Con la delibera 2615 (2021) approvata mercoledì “sono consentiti il pagamento di fondi, altre attività finanziarie o risorse economiche, nonché la fornitura di beni e servizi necessari per garantire la tempestiva erogazione di tale assistenza o per supportare tali attività”. I quindici membri del Consiglio hanno stabilito, inoltre, che l'attuazione della risoluzione sia rivista tra un anno e che ogni sei mesi il coordinatore dei soccorsi di emergenza presenti un'informativa sulla fornitura di assistenza umanitaria in Afghanistan.

Con questa decisione “i bisogni umani fondamentali in Afghanistan” sono sostenuti senza che vengano violati le sanzioni imposte ai talebani e i provvedimenti assunti dai paesi occidentali che da agosto hanno sospeso l'assistenza finanziaria per mettere pressione affinché le libertà individuali della popolazione siano rispettate, in particolar modo quelle delle donne.

Dopo che i talebani – che non sono riconosciuti dalla comunità internazionale – sono tornati al potere gli Stati Uniti hanno infatti congelato 9,5 miliardi di dollari di riserve della Banca centrale afghana, paralizzando di fatto il sistema statale – e le transazioni bancarie internazionali sono state sospese.

Il 10 dicembre la Banca mondiale – che pure aveva interrotto l'erogazione degli aiuti a Kabul – ha annunciato che avrebbe dato 280 milioni di dollari in aiuti umanitari all'UNICEF e al Programma alimentare mondiale entro la fine del mese da distribuire in Afghanistan.

In occasione della 17esima sessione straordinaria dedicata alla drammatica situazione nel paese asiatico che si è svolta a Islamabad a cui hanno partecipato i ministri degli Esteri dei paesi membri l'Organizzazione per la Cooperazione Islamica (OIC) si è impegnata a creare un fondo fiduciario umanitario per alleviare la sofferenza di milioni di persone che stanno affrontando fame e povertà.

Con una risoluzione il 19 dicembre l'OIC ha stabilito che la Banca islamica per lo sviluppo supervisionerà l'operazione per rendere disponibili gli aiuti entro il primo trimestre del 2022.

L'OIC ha inoltre esortato i governanti dell'Afghanistan a rispettare “gli obblighi previsti dai patti internazionali sui diritti umani, in particolare per quanto riguarda i diritti delle donne, dei bambini, dei giovani, degli anziani e delle persone con speciali necessità”.

L'incontro dell'OIC non ha dato al nuovo governo talebano alcun riconoscimento internazionale formale tant'è che il ministro degli Esteri afghano, Amir Khan Muttaqi, che ha partecipato ai lavori è stato escluso dalla fotografia ufficiale scattata durante l'evento.

Mentre nelle sedi preposte si discutono e si deliberano interventi e misure indispensabili per la sopravvivenza della popolazione afghana bambine e bambini continuano ad ammalarsi a causa di malnutrizione, siccità, chiusura di centri sanitari, rigidità delle temperature, mancanza di accesso e scarsa qualità dell'acqua e dei servizi igienico-sanitari.

Ad oggi, nel 2021, sono stati segnalati oltre 66.000 casi di morbillo, focolai di diarrea acuta, malaria e febbre dengue e sono stati confermati quattro casi di poliovirus selvaggio di tipo 1 (WPV-1).

Le rigide condizioni meteorologiche invernali, con temperature già ben al di sotto dello zero in molte aree, aumentano il rischio di polmonite e malattie respiratorie acute con le famiglie che lottano per riscaldare le proprie case e tenere al caldo i bambini, in particolare quelli che vivono in regioni d'alta quota, particolarmente vulnerabili e che necessitano di urgenti cure salvavita, compresi indumenti invernali, coperte e gasolio per il riscaldamento. Circa il 25-30 per cento dei decessi nei bambini di età inferiore ai cinque anni è dovuto a infezioni del tratto respiratorio, con il 90 per cento causati da polmonite.

«Ci stiamo avvicinando a un momento critico per i bambini afghani, poiché l'inverno porta con sé una moltitudine di minacce alla loro salute», ha affermato Abdul Kadir Musse, rappresentante UNICEF per l'Afghanistan. «Non c'è tempo da perdere. Senza un intervento urgente e concertato, con la certezza di avere risorse necessarie per disporre trasferimenti di denaro e forniture invernali, molti bambini afghani non vedranno la primavera».

La situazione è più o meno simile nelle varie province del paese. In quella di Ghor, nell'Afghanistan centrale, dove la vita era già difficile prima dell'arrivo dei talebani, si è ulteriormente aggravata.

Al Centro di emergenza per la malnutrizione i casi sono raddoppiati rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.

«Non abbiamo niente, non c'è cibo. I miei figli sono malati e non abbiamo medicine», supplica una madre. «Perché non riceviamo aiuti?», si chiede.

In una piccola stanza all'interno della struttura, un'infermiera misura la circonferenza del braccio di un bambino con un nastro che indica “rosso”: il piccolo è gravemente malnutrito.

Non c'è più spazio per accogliere i bimbi ammalati. La richiesta non è mai stata così alta. Succede anche che due mamme, insieme ai loro figli, siano costrette a condividere un letto singolo. A volte anche tre.

Di notte, in inverno, le temperature possono scendere ben al di sotto dei -10°. La legna disponibile, regalata da un ente benefico, riesce a riscaldare le stanze non più di due ore al giorno.

Anche sotto l'amministrazione precedente le risorse erano poche ma il ministero della Salute riusciva a fornirne abbastanza per mantenere caldi gli ambienti ospedalieri. Con l'avvento dei talebani non c'è più nulla.

Dopo cinque mesi il personale in servizio presso l'unico ospedale della provincia di Ghor, nella capitale Chaghcharan, ha finalmente ricevuto lo stipendio grazie al Comitato internazionale della Croce Rossa.

Le scorte di medicinali scarseggiano. Alla maggior parte dei pazienti viene chiesto di acquistarli nelle farmacie.

A volte sono medici e infermieri a raccogliere soldi per i pazienti.

Il dottor Parsa, che dirige la struttura, ha pagato di tasca propria sei infermiere per mantenere attivi i servizi essenziali.

«Mi appello alla comunità internazionale per dire che questa è la peggiore situazione che abbiamo mai dovuto affrontare. Per favore inviateci gli aiuti umanitari. Negoziate con il governo talebano e sbloccate le riserve estere», ha detto a BBC News.

L'ospedale sta lottando per far fronte a un aumento di casi di morbillo la cui campagna di vaccinazione è stata recentemente interrotta a causa della pandemia di COVID-19 e degli scontri armati che hanno preceduto la presa del potere dei talebani.

Il 18 dicembre un bambino è morto perché i medici non sono stati in grado di fornirgli abbastanza ossigeno.

Una bombola costa circa 50 dollari (44 euro) che possono decidere la vita o la morte di un bambino in Afghanistan.

All'esterno del reparto dove viene curato il morbillo ci sono alcune decine di bombole vuote. L'ospedale ha un macchinario per produrre ossigeno, ma non c'è elettricità per alimentarlo.

Attualmente non c'è elettricità in tutta la città, a parte l'energia solare privata nelle case di alcuni residenti. Non c'è carburante per far funzionare la centrale elettrica, né soldi per acquistarlo. L'ospedale ha i suoi generatori, ma non bastano.

In un ospedale nella provincia di Badakhshan, nel nord-est dell'Afghanistan, un bambino di due anni, Mohammad Yusuf, sta assumendo supplementi nutrizionali per combattere la fame. Anche i suoi cinque fratelli ne avrebbero bisogno ma non ce ne sono a sufficienza. Dopo l'arrivo dei talebani il loro papà è andato all'estero per cercare lavoro. La loro famiglia è una delle tante che non riesce a sfamarsi.

Come spiegano alcuni gruppi umanitari, le province rurali come quella di Badakhshan sono particolarmente vulnerabili. La popolazione di un milione di abitanti è sparsa tra la catena montuosa dell'Hindukush, con pochi appezzamenti di terreno e molte comunità tagliate fuori ogni anno in inverno a causa della neve. Secondo il WFP anche prima degli ultimi avvenimenti il 40 per cento dei bambini era malnutrito.

Sayed Shafiq Ahmad, un funzionario locale del WFP, ha dichiarato a Financial Times che l'organizzazione sta fornendo aiuti alimentari a 16.000 famiglie nella capitale Faizabad, rispetto alle 1.000 prima dell'arrivo dei talebani.

Gran parte della popolazione lavorava per il precedente governo o per le forze di sicurezza ed è attualmente disoccupata o non retribuita.

All'ospedale provinciale madri e bambini piccoli hanno riempito il reparto pediatrico in cerca di aiuto. Non tutti possono essere accolti.

Su una branda dorme Usman, un bambino di nove mesi che è stato ricoverato in ospedale per sedici giorni a causa di grave malnutrizione e disidratazione.

Il suo papà, elettricista, non lavora da quattro mesi. Non riesce a permettersi neanche un sacco di riso per sfamare la famiglia.

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Mohammad Akbar, direttore dell'ospedale della capitale, ha dichiarato che quest'anno il nosocomio ha ricoverato il 50 per cento in più di bambini malnutriti rispetto al 2020, un numero senza precedenti nei suoi 35 anni di carriera in cui ha vissuto l'occupazione sovietica, la guerra civile e l'ultimo conflitto.

Quello che sta succedendo “dipende dalla comunità internazionale”, ha detto. «Se vogliono cambiare qualcosa possono. La nostra comunità non può».

Immagine in anteprima via Nikkei Asia

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