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Il mondo si mobilita per salvare Alaa Abd-el Fattah, l’attivista simbolo della Primavera araba in carcere in Egitto

31 Maggio 2022 7 min lettura

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Il mondo si mobilita per salvare Alaa Abd-el Fattah, l’attivista simbolo della Primavera araba in carcere in Egitto

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Due mesi senza mangiare. Da due mesi esatti Alaa Abd-el Fattah, la personalità più nota e influente della rivoluzione egiziana del 2011, rifiuta il cibo. È in sciopero della fame dal 2 aprile, un digiuno a tempo indeterminato per chiedere che i suoi diritti di cittadino siano rispettati e protetti. Il suo digiuno e la pressione internazionale che sta aumentando di giorno in giorno hanno dato i primi frutti. Anzitutto, il trasferimento dal carcere di massima di sicurezza Tora II del Cairo, al nuovo penitenziario di Wadi al Natrun, a poco meno di cento chilometri di distanza dalla capitale egiziana. 

Neanche lo spostamento ha però sortito effetto. Alaa continua, dunque, a digiunare. Solo alcune delle sue richieste sono, infatti, state accettate dalle autorità del regime di Abdel Fattah al-Sisi. La prima: l’informatico e intellettuale egiziano è stato finalmente spostato da un carcere in cui erano stati violati tutti i suoi diritti sin dal primo giorno di detenzione, come raccontato dallo stesso Alaa in alcune delle pagine più intense dei suoi scritti dal carcere (Non siete stati ancora sconfitti, hopefulmonster 2021). A Tora Alaa è stato picchiato, chiuso in una cella senza aria, in cui ha dormito per terra senza neanche un materasso. Per anni è stato privato di libri, penne, carta, orologio, radio, ora d’aria, esercizio fisico. Gli stessi dirigenti del penitenziario hanno avuto nei confronti di Alaa, prigioniero di coscienza per Amnesty International, atteggiamenti violentemente vessatori. Dopo il trasferimento a Wadi al Natrun, ha potuto dormire su un materasso e, finalmente, avere libri, carta e penna. Persino una copia di Topolino, un dettaglio che può apparire ironico e che invece descrive in modo illuminante le condizioni dei 60mila detenuti di coscienza in Egitto, deprivati di tutto. Ad aver potuto visitare recentemente Alaa è stata solo sua madre, la professoressa Laila Soueif, che il 25 maggio scorso è stata anche audita dal Comitato permanente sui diritti umani della Camera dei Deputati, presieduta dall’on. Laura Boldrini.

Cosa non ha ottenuto Alaa, oltre alla mancanza dell’ora d’aria e all’impossibilità di uscire dalla cella se non per le visite dei familiari? Non ha ottenuto un giusto processo e la libertà. Non ha ottenuto neanche la visita in carcere delle autorità consolari. Per i familiari si tratta di un vero e proprio accanimento nei confronti di un uomo che ha da pochi mesi compiuto 40 anni, ma che per intere generazioni egiziane rappresenta i valori e l’intelligenza della rivoluzione egiziana del 2011. Valori e intelligenza che rappresentano, a quanto sembra, un vero e proprio vulnus per il regime.

Così, Alaa Abd-el Fattah ha deciso di continuare la sciopero della fame e rifiutare il cibo, ma allo stesso tempo – come scrive la sorella Sana Seif – ha cominciato a prendere “cento calorie di fluidi al giorno”, rispetto al fabbisogno medio di calorie che in genere è di 200 al giorno. Negli scioperi della fame, il corpo va in modalità di autodistruzione: Alaa sta rallentando questo processo perché per la prima volta in anni sta cominciando a percepire una speranza”. E Sana così conclude il suo post su Facebook del 28 maggio: “Ci sta concedendo tempo per continuare la lotta per la sua liberazione”.

Chi è Alaa?

Alaa Abd-el Fattah è un attivista, uno scrittore, un informatico e un blogger. Il suo attivismo e l’uso che ha fatto della tecnologia lo hanno reso una personalità chiave della Primavera araba. È stato lui, infatti a sviluppare versioni in lingua araba di importanti software e di piattaforme. 

Nato al Cairo nel 1981 in una famiglia di dissidenti e di intellettuali dedicati alla difesa dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto, Alaa Abd-el Fattah viene arrestato per la prima volta nel 2006 per aver preso parte a una manifestazione in favore dell’indipendenza dei giudici. Dal 2011 è entrato e uscito dal carcere più volte. Ha subito arresti, detenzioni e accuse sotto le presidenze Mubarak, Morsi, al Sisi. È divenuto, anche per questo, il simbolo della dissidenza egiziana. Considerato prigioniero di coscienza da Amnesty International, Alaa Abd-el Fattah fa parte di un’intera generazione di giovani egiziani pronti a rischiare tutto, inclusa la propria vita, per i diritti umani. Fa parte di decine di migliaia di egiziani rinchiusi nelle carceri del paese e di migliaia di desaparecidos, come denunciato da tutte le più importanti e autorevoli organizzazioni internazionali e nazionali di difesa dei diritti umani

Considerato la personalità più nota e influente della rivoluzione egiziana del 2011, nota come Rivoluzione di piazza Tahrir, Alaa Abd-el Fattah è stato arrestato nel novembre del 2013. Venti membri delle forze di sicurezza hanno compiuto  un violento raid nella sua casa, picchiando lui e sua moglie Manal Hassan, mentre nell’altra stanza si trovava il figlio di appena due anni. L’accusa: aver organizzato una protesta politica senza i relativi permessi. Rilasciato dietro cauzione il 23 marzo del 2014, è stato condannato in appello nel febbraio del 2015 a una pena di cinque anni, durante la quale è stato detenuto nel carcere di massima sicurezza di Tora, al Cairo. Nel marzo del 2019 è stato rilasciato in libertà vigilata, per la quale ha potuto passare solo 12 ore al giorno in libertà, e ha dovuto trascorrere le altre 12 in una stazione di polizia. Sei mesi dopo, nel settembre del 2019, Alaa Abd-el Fattah è stato ri-arrestato, mentre si trovava appunto nella stazione di polizia del quartiere di Dokki al Cairo, e detenuto nell’ondata repressiva contro le proteste scoppiate in quelle settimane in Egitto. La libertà a mezzo tempo di Alaa è durata appena sei mesi.

Leggi anche >> Dopo due anni l’informatico e attivista Alaa Abdel Fattah è ancora in carcere, senza processo e senza condanna #FreeAlaa

Dal 29 settembre del 2019, Alaa è di nuovo detenuto. Il 20 dicembre 2021 un tribunale d’emergenza egiziano ha emesso le condanne senza appello nei suoi confronti e in quelli di altri due dissidenti. Alaa Abdel Fattah è stato condannato a cinque anni di carcere, il suo avvocato Mohamed el-Baqer e il blogger Mohamed “Oxygen” Ibrahim a quattro. Nel computo delle sentenze non sono stati scorporati i periodi di detenzione preventiva.

I tre imputati erano accusati di “diffusione di notizie false”: Alaa Abdel Fattah e Mohamed el-Baqer per aver criticato le autorità circa il trattamento dei detenuti e per alcuni decessi in custodia avvenuti in circostanze sospette; Mohamed “Oxygen” Ibrahim, invece, per aver denunciato sui social media il mancato rispetto dei diritti sociali ed economici da parte del governo.

I loro scritti non hanno in alcun modo incitato alla violenza e all’odio e i tre avrebbero dovuto essere tutelati dalla costituzione egiziana e dagli obblighi internazionali in materia di libertà d’espressione.

Da poche settimane la famiglia di Alaa ha reso noto che il loro congiunto ha ottenuto la nazionalità britannica, perché la madre – la dottoressa Layla Soueif, matematica, docente all’università del Cairo e accademica stimata a livello internazionale – è nata nel Regno Unito. Come cittadino britannico, Alaa Abd-el Fattah ha diritto a ricevere visite da parte delle autorità consolari britanniche, che hanno il diritto/dovere di accertarsi che il loro connazionale non sia privato dei diritti fondamentali durante la carcerazione. Carcerazione, peraltro, considerata ingiusta da tutte le organizzazioni internazionali di difesa dei diritti umani e civili che da anni seguono la vicenda di Alaa, il cui periodo in cella ammonta ormai a nove anni.

La pressione internazionale (e italiana)

Dopo due mesi di sciopero della fame, la salute e la vita di Alaa Abd-el Fattah sono a serio rischio. Il tempo, dunque, è un fattore che gioca contro. È questa anche la ragione dell’accelerazione nella campagna internazionale per la sua liberazione. Una campagna condotta anzitutto dalla sua famiglia. Mona e Sana Seif, le sorelle di Alaa, e suo cugino, lo scrittore anglo-egiziano Omar Robert Hamilton, sono a Londra per incontrare la stampa, gli attivisti, il pubblico, e soprattutto membri del governo britannico. L’obiettivo, detto chiaramente in un’intervista rilasciata da Omar Robert Hamilton e Mona Seif al canale tv britannico Channel4, è che Boris Johnson e la segretaria di Stato Liz Truss alzino il telefono e chiamino il presidente egiziano al-Sisi per chiedere la liberazione del loro concittadino Alaa Abd-el Fattah.

La tappa di Londra arriva dopo un tour di Sana Seif negli Stati Uniti, complice la pubblicazione dell’edizione americana degli scritti di Alaa Abd-el Fattah (You have not yet been defeated, Seven Stories Press 2022). Una campagna di sensibilizzazione si concentra dunque nei due paesi considerati determinanti per la scarcerazione del dissidente egiziano. A muoversi per sostenere il caso di Alaa è comunque anche la diaspora egiziana, sparsa per l’Europa e il mondo dopo la crescente ondata repressiva in Egitto. E con la diaspora, le numerose organizzazioni di difesa dei diritti che hanno preso in carico la vicenda di Alaa, simbolo di tutte le vicende di giustizia negata nel più grande paese arabo. 

In Italia, la campagna di sensibilizzazione ha scelto una pratica politica di lunga tradizione come il digiuno solidale di 24 ore a staffetta, per sostenere lo sciopero della fame di Alaa. Un gesto a prima vista debole, eppure fortissimo nel suo aspetto di testimonianza, iniziato il 28 maggio e che prosegue per accompagnare a distanza lo sciopero di un prigioniero di coscienza. Vi partecipano decine di persone, tra cui attivisti, giornalisti, deputati, e l’adesione è aperta e libera. L’idea che sottende al digiuno solidale è quello di provare e condividere, almeno per 24 ore, la privazione del cibo come strumento contro la privazione della libertà. 

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Immagine in anteprima: Alaa Abd el-Fattah e sua sorella Mona Seif – Foto di Lilian Wajdy, licenza Creative Commons 2.0, via Global Voices

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