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‘Pasqua e Kalashnikov’: riflessioni sulla guerra in Ucraina di Maksym Butkevych, attivista antifascista

16 Luglio 2022 13 min lettura

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‘Pasqua e Kalashnikov’: riflessioni sulla guerra in Ucraina di Maksym Butkevych, attivista antifascista

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12 min lettura
Maksym Butkevych condannato a 13 anni di carcere dalle autorità di occupazione nel Donbas

Aggiornamento del 10 marzo 2023: L'ex giornalista ucraino e attivista Maksym Butkevych è stato condannato a 13 anni di carcere dalle autorità di occupazione russe che controllano gli Oblast di Donec'k e Luhans'k, nel Donbas. Lo riferisce Kyiv Independent, che specifica come la "condanna al carcere" non abbia fondamento giuridico.

Dopo la cattura di Butkevych, avvenuta a giugno, era stata lanciata la campagna di sensibilizzazione #FreeMaksymButkevych. A luglio era intervenuta per chiederne il rilascio anche PEN America, denunciando inoltre la criminalizzazione di Butkevych a opera della propaganda russa.



Maksym Butkevych, storico attivista ucraino impegnato nell'antifascismo e nell'antirazzismo, è stato catturato dalle truppe russe  verso la fine di giugno, mentre con le Forze Armate Ucraine era coinvolto nei combattimenti nella parte orientale del paese. L'esercito russo, come riporta tra gli altri OpenDemocracy, ha diffuso a ridosso della cattura un video con l'interrogatorio a Butkevych. Successivamente vari siti in lingua russa hanno tratteggiato Butkevych come "un nazionalista di estrema destra".

Di seguito riportiamo l'ultimo articolo che Butkevych ha scritto per il sito di Hromadske Radio, radio indipendente ucraina co-fondata dall'attivista.

Alcune riflessioni personali dalla primavera ucraina 2022

Mentre inizio a scrivere questo testo, oggi in Ucraina è Pasqua. Quanto meno i cristiani ortodossi ucraini (non importa se della chiesa riconosciuta dal Patriarca di Costaninopoli, o di una subordinata al guerrafondaio Patriarca di Mosca) la celebrano il 24 aprile, quest’anno, così come i greco-cattolici ucraini.

Oggi sono anche due mesi dall'invasione su larga scala della Russia in Ucraina, iniziata il 24 febbraio 2022. Come direbbe un criminale di guerra, una star della propaganda televisiva russa, "Coincidenza? Io non credo!". Certo che è una coincidenza - ma è anche un pretesto per me per riflettere su questi due mesi in un contesto molto personale di cui di solito non parlo pubblicamente: la mia fede e la guerra. Inutile dire che queste sono riflessioni molto soggettive, tuttavia spero che raccontino almeno qualcosa di importante sulla mia Ucraina in guerra a chi vuole ascoltare.

La mia Pasqua, la mia unità

Negli anni passati ho partecipato al servizio religioso della notte di Pasqua - o almeno mi sono iscritto online durante la pandemia. Quest'anno l'ho persa. Il mio turno di guardia iniziava alle 5 del mattino, quindi avevo bisogno di dormire qualche ora.

Il mio sacco a pelo occupa un posto di rilievo tra gli amici che mi sono fatto negli ultimi due mesi, insieme al Kalashnikov che devo portare con me durante il turno. E sì, anche il tablet che sto usando ora per scrivere è un tesoro.

Mi è stato regalato da colleghi e amici di una radio indipendente, "Hromadske Radio", per momenti come questo, e poi i volontari Sasha e Yulia mi hanno fornito una piccola tastiera - così non è solo uno strumento, ma un'espressione tangibile di solidarietà per me.

Questi tre oggetti - sacco a pelo, fucile Kalasnikov e tablet - vengono subito dopo gli esseri umani (i miei fratelli in armi) nella lista dei nuovi amici che mi sono fatto dall'inizio dell'attuale invasione russa.

(Oh, forse dovrei chiarire: due mesi fa sono andato volontariamente all'ufficio di registrazione militare. Nel giro di una settimana piena di sforzi umanitari e di incertezze, ho ricevuto la tanto attesa telefonata, ho messo da parte le mie attività per i diritti umani e mi sono arruolato nell'esercito. Quindi, ora sono nelle UAF - Forze Armate Ucraine).

Dicevo, i miei fratelli d'armi. Sono molto diversi tra loro: giovani e anziani, provenienti dall'ambiente urbano e dalla campagna, esperti di battaglie e senza precedenti militari, operai, contadini, autisti, tecnici, manager, lavoratori autonomi; parlano ucraino, russo o il semidialetto "surzhyk" (un misto di entrambi). Qui si possono incontrare quasi tutte le classi sociali e i ceti sociali (be', finora non ho incontrato nessuno proveniente dalla parte più ricca delle classi sociali del paese - ma questo era previsto, e statisticamente sarebbe stato comunque difficile). Alcuni hanno conseguito titoli accademici, altri non hanno mai pensato di proseguire gli studi dopo la scuola dell'obbligo. Anche per quanto riguarda la religione, le opinioni sono diverse. La maggioranza sostiene almeno alcune celebrazioni e usanze tradizionali del cristianesimo ortodosso, molto spesso unite all'ignoranza sul loro significato o al cinismo nei confronti delle istituzioni ecclesiastiche. Ho incontrato musulmani, ebrei, agnostici e atei, che non si sentono fuori posto qui.

E tutta questa incredibile varietà, ricca e vivace come la stessa società ucraina, qui non è divisa da differenze interne. Ci sono disaccordi su questioni di gusti o di hobby, di obiettivi nella vita privata o di visioni del mondo, ma non ci sono linee di conflitto (la politica dei partiti ucraini è un argomento piuttosto evitato). L'intero collettivo è unito dal valore di ciò che l'Ucraina è per loro, dal senso di appartenenza e dall'auto-identificazione come persone libere che fanno scelte nel proprio libero paese. Questo è abbastanza comune e ovvio, anche se le persone nell'esercito non ne parlano molto. Ciò di cui parlano, invece, a parte le battute e le storie di vita, gli armamenti e gli equipaggiamenti di protezione, è la rabbia e la volontà di combattere gli invasori. Questa rabbia si trasforma in odio aperto a ogni successiva notizia di bombardamenti delle truppe russe sulle città ucraine, di fosse comuni scoperte nelle aree occupate in precedenza, di stupri, mutilazioni ed esecuzioni tra la popolazione civile, di ostaggi presi e di saccheggi diffusi commessi dai soldati russi. E ci sono troppe prove, troppi testimoni e vittime per pensare a questi resoconti come a esercizi di propaganda.

La disumanizzazione è un'inevitabile e fedele compagna di ogni guerra; eppure a volte sembra che gli occupanti facciano il possibile perché gli ucraini possano odiarli a dovere.

Poco importa che fosse loro intenzione o meno - ci sono in ogni caso riusciti: le parole più blande che il pubblico ucraino usa più spesso per nominare gli invasori russi sono "orchi" e "ruscisti" (in ucraino e in russo quest'ultima parola suona /ˈrʌʃɪsts/, simile a "russo" e "fascista"), per citare solo quelle pronunciabili durante una diretta.

Realtà distorta e regno della Morte

Con l'avvicinarsi della Pasqua, non ho potuto fare a meno di riconoscere la tensione interiore che si è creata tra il significato di questo giorno, per me importantissimo, e il contesto della sua celebrazione per quest'anno. Coloro che osservano la Pasqua celebrano la vittoria della Vita sulla Morte - e quest'anno la celebro mentre faccio parte, per mia volontà, della stessa organizzazione creata dagli uomini per uccidere ed essere uccisi. Durante il mio turno di guardia notturno, pronuncio le preghiere pasquali sulla sconfitta della Morte mentre tengo accanto a me il congegno progettato per lo specifico scopo di infliggere morte o ferite. E sapete una cosa? Pur riconoscendo una tensione implicita in questa situazione, non provo alcun disagio.

Potrebbe sembrare contraddittorio, persino auto-delirante o ipocrita, perciò questa sensazione è qualcosa su cui sto cercando di fare chiarezza. È sorta dall'avere a che fare con fenomeni tangibili, cose sul campo - non da qualche concetto speculativo. Tutto ciò che è speculativo è svanito con l'inizio della realtà da incubo in cui si è trovata la gente in Ucraina due mesi fa. Questa realtà è stata creata da criminali di guerra con una visione del mondo totalitaria e xenofoba che si definiscono "antifascisti", etichettando i loro oppositori (coloro che si battono per i diritti umani e le libertà civili in primo luogo) come "nazisti". In questa realtà la propaganda russa si autodefinisce "pensiero critico", mentre lo Stato russo criminalizza l'uso della parola "guerra"; il leader della chiesa cristiana russa si esprime in modo indistinguibile da chi parla di Anticristo; e le truppe russe che uccidono, mutilano e fanno sparire i civili sono chiamati "liberatori" delle loro vittime.

Alcuni intellettuali e personaggi pubblici occidentali suggeriscono che l'Ucraina dovrebbe "trovare un compromesso" con le richieste della Russia, qualunque esse siano (a proposito, quali sono?), o che dovrebbe essere costretta dalle Grandi Potenze, basandosi sul concetto di "realismo geopolitico". Altri, nel frattempo, chiedono che i loro Stati non forniscano armi all'Ucraina perché ciò "prolungherebbe questa brutta guerra", basandosi sui concetti di "antimilitarismo", "neutralità" o "nonviolenza". Sono suggerimenti e richieste che si avventurano in questa "realtà" allucinata in modo molto naturale, e dicono molto di più su ciò che sta nella testa di chi le propone che su qualsiasi altra cosa. Non sorprende che molti ucraini rispondano a queste richieste invitando gli stranieri "ben disposti" a recarsi nelle aree liberate e nelle zone di battaglia dell'Ucraina: queste risposte non sono insulti, ma inviti a verificare la realtà affrontandola sul campo piuttosto che cercando di inserirla in un letto procusteo di concetti speculativi.

Chi aveva dubbi, a livello internazionale, sulla sostanza ideologica del "russkij mir" ("mondo russo"), si spera li abbia abbandonati dopo ciò che il mondo ha visto nelle zone ucraine occupate o assediate dai "liberatori" russi. Gli orrori di Bucha, Irpin, Hostomel, Mariupol, Charkiv, Chernihiv e di molte altre città e paesi hanno evidenziato un'equazione molto semplice: "russkij mir" = "morte, sofferenza, umiliazione e distruzione". Non si tratta solo del numero di persone uccise, ferite e sfollate. Non si tratta solo delle storie personali dei sopravvissuti che si fondono nell'abisso di dolore che i ruscisti hanno scavato con le loro azioni. Si tratta della realtà in cui la mappa dei territori ucraini occupati dalle truppe russe ha mostrato chiaramente dove, molto fisicamente, la morte regnava sovrana; dove la vita era solo un fenomeno evidentemente fragile, quasi un'aberrazione accidentale, al massimo sostituita dalla sopravvivenza biologica - e dove "sicurezza" e "dignità" erano concetti inesistenti.

Mi riferisco a quella dignità che ha un significato forte sia per i laici che per i religiosi, quella stessa dignità alla base del concetto stesso di diritti umani, che è stata la forza motrice per molti partecipanti alla rivolta di Maidan del 2013-14 in Ucraina e che occupa un posto importante nel vocabolario concettuale ucraino contemporaneo. È stata tra le prime cose eliminate dal terrore portato degli occupanti.

La dignità incarna alcuni dei più importanti opposti all'ideologia e alle pratiche dominanti dello Stato russo, per cui viene schiacciata senza pietà nelle attuali repressioni sia all'interno della Russia sia ovunque il Cremlino riesca ad arrivare. Purtroppo, nelle aree ucraine occupate è ancora così. Fino a che punto il Cremlino vorrebbe estendere queste aree? L'affermazione di Putin secondo cui "il confine della Russia non finisce da nessuna parte" offre una risposta parziale a questa domanda.

Un genocidio sotto un qualsiasi altro nome

L'unico obiettivo pratico della cosiddetta "operazione speciale in Ucraina", come la chiamano le autorità russi, è ormai ben visibile: cancellare dall'esistenza tutto ciò che riguarda la comunità degli ucraini, come la lingua, l'identità, i valori e, su vasta scala, tutto ciò che esiste in queste terre e che è diverso dalla visione uniforme del mondo approvata dai criminali di guerra del Cremlino.

Non è nemmeno detto che gli ucraini debbano amare Putin o seguirne gli ordini. Devono essere fatti sparire in quanto ucraini, in quanto persone con una certa identità, in quanto custodi di libertà e scelte, in quanto Altro indesiderabile e pericoloso. Devono essere fatti sparire collettivamente come comunità, diventando un ricordo del passato, morto e dimenticato. Ma questo non può essere fatto altrimenti che eliminando fisicamente gli individui che appartengono a questa comunità, che incarnano la sua identità, le sue istituzioni e i suoi valori. Ciò significa che devono essere uccisi, rapiti, spezzati o sfrattati - e questo è ciò che sta accadendo ora nei territori dell'Ucraina controllati dalla Russia. Su scala ridotta, gli attacchi contro individui motivati dalla loro appartenenza a una certa comunità sono chiamati "crimini d'odio". Su larga scala sono chiamati "genocidi". Ma al di là dei dizionari si tratta della stessa cosa, solo che avviene su un diverso ordine di grandezza. La diffusione della morte che prende di mira comunità e individui è il modus operandi russo in Ucraina in questi giorni, essendo l'unica strategia adatta agli obiettivi prefissati.

Per nessun motivo questa marcia della morte dovrebbe essere vittoriosa. Semplicemente, non si dovrebbe permettere che abbia luogo - invece, dovremmo fermarla in un punto che sia il più lontano possibile. E l'unico strumento che abbiamo a disposizione per farlo, nella situazione in cui ci troviamo, è prendere le armi. I russi non ci hanno lasciato il tempo di prendere in considerazione altre opzioni, anche se ce ne fossero (e non sembra che sia così: hanno dimostrato più volte che qualsiasi proposta di "colloquio" e "discussione" è interpretata come un segno di debolezza e un invito a seminare ancora più distruzione). Gli appelli ai valori comuni e ai concetti razionali cadono ovviamente nel vuoto, segnalando che probabilmente tali valori e concetti non esistono più.

La vita è tornata a scalciare

Nelle scorse settimane ho assistito alla vita che ritornava nelle strade dei villaggi e delle città ucraine liberate, dopo la cacciata delle truppe russe. La gente del posto ha iniziato a uscire dalle case e dalle cantine, alcuni affamati, tutti spaventati, piangendo e abbracciando i soldati ucraini, offrendo loro quel poco di cibo rimasto e fiori, rimuovendo le macerie, preparandosi a seppellire i morti. Erano espressioni molto concrete di liberazione, in termini quasi biblici: liberazione dalla dominazione e dalla repressione straniera, dalla tirannia, dalla paura e dalla morte, anche se il dolore e la disperazione erano ancora nell'aria. Non credo che lo dimenticherò mai: vedere la vita che prevale sulla morte dopo la liberazione, in un modo molto simile alla Pasqua - non "concettualmente", ma in modo molto tangibile e visibile. Era come se stessi assistendo alla realizzazione di una Pasqua locale sulla terra, facendone parte io stesso, con il mio fucile Kalashnikov. E no, non mi sono sentito a disagio.

12 giorni dopo

Sto completando questo testo quasi due settimane dopo averlo iniziato, aggiungendo o modificando frasi un po' alla volta - le forze armate non sono l'ambiente più stimolante e confortevole per scrivere qualcosa, almeno non per me. Oggi i cristiani ucraini che usano ancora il calendario giuliano festeggiano il giorno di San Giorgio, mentre per i militari ucraini e i loro amici - cioè la maggior parte del paese - si festeggia laicamente la Giornata della Fanteria. Mosca ha scelto San Giorgio che sconfigge il drago come suo simbolo molto tempo fa - ma per l'Ucraina è un santo patrono dei soldati ucraini nella guerra in corso, mentre Mosca è il drago da sconfiggere. Questo drago è ancora in libertà: da Pasqua sono aumentate le città e le aree ucraine bombardate dagli aerei e dall'artiglieria russa, e sono aumentati anche i militari e i civili morti al fronte e nel profondo delle "regioni più sicure" dell'Ucraina, gli abitanti delle aree occupate rapiti o mandati con la forza in Russia (mentre Mariupol e Kherson sono oscurate ora da tragedie ancora più cupe di prima).

Una settimana fa una mia ex collega, una produttrice molto professionale, nonché una persona molto intelligente e bella, Vira Hyrych, è stata uccisa da un missile russo che ha preso di mira il suo appartamento appena acquistato nel centro di Kyiv. I media russi hanno in gran parte taciuto la notizia, riportandola al massimo in due righe - menzionando ovviamente che Vira lavorava per i media indicati da Mosca come "agenti stranieri". Pochi giorni fa un ex giornalista di Luhansk, partito per Kyiv dopo che la Russia gli aveva sottratto la città natale nel 2014, corrispondente di guerra negli anni precedenti e volontario militare nella fase attuale della guerra, Olexandr Makhov, è stato ucciso dagli invasori al fronte nella regione di Kharkiv. La voce della cosiddetta propaganda "antifascista" russa sui social media ha specificamente menzionato che "aveva un cognome russo" ma combatteva dalla parte dei "bandera" ("nazionalisti ucraini" - qui a indicare tutti gli ucraini che non sostengono la Russia). Gli "antifascisti" russi, che classificano le persone in base alla presunta etnia dei loro cognomi (cosa inaudita tra i "nazionalisti ucraini"), nel loro testo si auguravano che fosse sepolto nella lana di vetro. Queste sono solo due delle molte vittime dell'aggressione russa che sono state uccise mentre lavoravo a questo testo: Il feed di Facebook riporta troppo spesso altri volti o nomi di persone decedute. Allo stesso tempo, i propagandisti dei media russi discutono in TV la possibilità di una guerra nucleare in termini piuttosto positivi. Dopo aver letto le recenti notizie dal fronte e mentre ascolto le sirene dell'allarme antiaereo, ripiego la mia "tavoletta della solidarietà" e vado a prendere il mio sacco a pelo: il mio turno di guardia notturno inizia tra poche ore e ho bisogno di dormire almeno un po' prima di imbracciare di nuovo il mio fucile Kalashnikov. Ed è a questo che penso prima di addormentarmi:

Mentre la guerra distrugge vite e mezzi di sussistenza, i suoi gemelli siamesi, la disumanizzazione e l'odio, corrompono le anime e rendono i cuori insensibili. Le nostre anime e i nostri cuori. Dopo che avremo sconfitto gli invasori (e non c'è dubbio che non è una questione di "se", ma di "quando" e "a quale costo"), la battaglia per le nostre anime, le nostre menti e i nostri cuori continuerà per un bel po'.

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Non dobbiamo permettere che l'odio e il dolore ci accechino, facendoci così rinunciare al nostro essere aperti e alla nostra diversità, alla nostra empatia e alle nostre libertà. Non dobbiamo nemmeno permettere che ci infettino con lo spirito di una morte strisciante, negando ad altri esseri umani la dignità che tanto apprezziamo, normalizzando la propaganda dell'odio e conservando atteggiamenti di disumanizzazione al di là del campo di battaglia. Questa battaglia sarà dura e lunga, ma ne varrà la pena. E sono sicuro che riusciremo a vincere anche questa. Difendere la nostra Pasqua, lasciare che la Pasqua ci protegga.

24 aprile– 6 maggio 2022, UAF, Ucraina

(Nota: Abbiamo modificato l'introduzione all'articolo perché conteneva un'imprecisione sul video che mostra l'interrogatorio di Butkevych)

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