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L’omicidio dell’attivista per i diritti umani Zara Alvarez e “la guerra al dissenso” nelle Filippine

21 Agosto 2020 4 min lettura

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L’omicidio dell’attivista per i diritti umani Zara Alvarez e “la guerra al dissenso” nelle Filippine

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La sera del 17 agosto Zara Alvarez, assistente legale del gruppo per i diritti umani Karapatan, è stata uccisa a Bacold, nell’isola di Negros, nelle Filippine centrali. La donna, 39 anni, è morta dopo essere stata raggiunta da sei colpi di pistola, mentre stava rientrando a casa dopo aver comprato la cena. Secondo alcuni testimoni, l’assassino – che la polizia non ha identificato – è stato inseguito dai passanti, salvo poi scappare su una moto guidata da un complice. «Era lei l’obiettivo. C’era l’intenzione di ucciderla», ha dichiarato il sindaco della città, Richard Fajarito, aggiungendo che probabilmente l’omicida aveva già svolto dei sopralluoghi nella zona e potrebbe aver seguito la vittima in passato.

Due giorni dopo l’omicidio, gli investigatori del governo hanno promesso che avrebbero indagato sul caso, esaminando eventuali affiliazioni della vittima con “gruppi di sinistra” come possibile movente.

Alvarez si è spesa per anni per i diritti dei contadini nell’isola di Negros, dove poche famiglie con forti legami politici possiedono grandi estensioni di piantagioni di canna da zucchero. Nel 2019 ha aiutato un gruppo di agricoltori a documentare e denunciare violazioni dei diritti da parte delle truppe governative in seguito all'uccisione di braccianti agricoli, accusati di essere membri dei ribelli comunisti. In una vecchia intervista risalente a quel periodo aveva dichiarato che era «piuttosto chiaro» che fosse stata «la polizia a uccidere quelle persone». Le autorità avevano negato le accuse, ma nessun sospetto è stato mai arrestato o perseguito per le decine di uccisioni dei braccianti.

Quello di Alvarez è l’ennesimo omicidio di difensori dei diritti umani e attivisti nelle Filippine negli ultimi quattro anni, da quando il presidente Rodrigo Duterte ha preso il potere. Osservatori e difensori dei diritti concordano sul fatto che nel paese sia in atto una "guerra al dissenso".

Una settimana prima della morte della trentanovenne, il 10 agosto, ignoti hanno ucciso l’attivista per la pace ed esponente della lista della classe lavoratrice Anakpawis Randall Echanis, 72 anni, nella sua casa di Quezon City.

Come riporta Human Right Watch, le vittime hanno background simili: entrambi erano attivi in organizzazioni e “movimenti di sinistra che le autorità governative sostengono siano legate all’insurrezione comunista”, e sia Alvarez che Echanis erano stati soggetti a red-tagging, cioè erano stati etichettati come “comunisti” o “terroristi” - un’etichetta che, secondo HRW, “spesso porta alla morte”.

I loro nomi, inoltre, erano stati inseriti dal Dipartimento di Giustizia del governo di Duterte in una lista di terroristi che comprendeva oltre 600 persone – poi ridotti a due. Un altro attivista che compariva nello stesso elenco, Randy Malayao, è stato ucciso nel gennaio del 2019.

Cristina Palabay, segretaria generale di Karapatan, ha detto ad Al Jazeera che considerate le circostanze dell’omicidio di Alvarez, «e le minacce che aveva subito dalle forze statali, non facciamo fatica a pensare che quelli che l’hanno uccisa facciano parte del governo». Inoltre, ha aggiunto, a causa della pandemia di coronavirus, le città hanno imposto il coprifuoco e ci sono checkpoint in varie aree: «Tutto è in lockdown, no? Le strade sono molto sorvegliate dalle forze statali con tutti quei posti di blocco. E nonostante questo gli assassini sono riusciti a superare questo cordone di forze dell’ordine».

Alvarez era stata in carcere per circa due anni. Dopo il rilascio, ha continuato a lavorare con l’organizzazione Karapatan. Nel corso degli anni, ha spiegato Palabay, l’attivista ha ricevuto minacce, anche di morte. «Le forze militari e di polizia non hanno mai smesso di darle problemi, anche lo scorso aprile mentre distribuiva semplicemente riso alle comunità impoverite dal lockdown. Non abbiamo dubbi che le forze di governo siano dietro il suo spietato omicidio».

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Le Filippine “hanno una lunga lista” di esecuzioni extragiudiziali di attivisti di sinistra da parte delle forze di sicurezza statali “con il pretesto di combattere l’insurrezione comunista nel paese”, ha scritto il vicedirettore per l’Asia di HRW Phil Robinson. “Il governo ha il dovere di assicurare che tutti gli attivisti nelle Filippine abbiano piena tutela da parte della legge, e non siano soggetti a molestie, attacchi e omicidi”.

Solo qualche settimana fa, il presidente Duterte ha firmato una nuova legge antiterrorismo - che consente arresti senza mandato e detenzioni più lunghe. Diversi esperti hanno manifestato preoccupazione per la possibilità di ulteriori abusi nei confronti di chiunque critichi il presidente. Commentando l’approvazione della legge, il direttore di Amnesty International per Asia e il Pacifico ha affermato che «sotto la presidenza Duterte, anche il più mite critico del governo può essere etichettato come terrorista». L’amministrazione filippina, ha aggiunto, ha creato «una nuova arma per marchiare e perseguitare qualsiasi presunto nemico dello Stato. In questo clima di impunità, una legge così vaga sulla definizione di ‘terrorismo’ non può che peggiorare gli attacchi contro i difensori dei diritti umani».

Immagine in anteprima via Tinay Palabay

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